Buongiorno a tutti, apro questo thread perchè ho letto un interessante articolo sull'ultimo numero di Montagne 360°, che tratta della perdita di una fascia importante di alpinisti, la via di mezzo.
Si passa quindi, secondo l'articolo, da turisti dei rifugi (gente che va in montagna solo fino al rifugio per mangiare e tornarsene poi alla macchina) ad alpinisti con i controcazzi (passatemi il termine per favore) capaci e con esperienza di arrampicata.
Secondo me questo è vero, quest'estate ho fatto qualche giro sul ghiacciaio dell'Adamello e devo dire che di gente ne vedevo un gran poca nelle fasce alte, mentre ai rifugi più abbordabili vedevo persone che fisicamente avrebbero anche potuto arrivare più in alto.
Questo è dovuto dalla mancanza di interesse, dalla mancanza di desiderio di fare sforzo fisico o semplicemente dalla non familiarità con l'ambiente?
Ammettiamolo, andare tramite il sentiero Matarot al rifugio Carè alto è una faticata, ma tecnicamente per niente difficile.
Una cosa che mi è venuta in mente è la mancanza di ricambio generazionale, la perdita quindi di esperienza e di conoscenze che non vengono più tramandate da vecchi a giovani e che, in qualche modo, frenano gli stimoli a migliorarsi ed a osare di più, sopratutto tra i giovani.
Vorrei, con questo thread, cercare di collegare le 2 anime di questo forum, che si stanno, scondo me, sempre più distaccando tra loro. Parlo quindi dell'anima "giovane", dove la conoscenza pare molto fruibile grazie ad internet e a corsi "preconfezionati" e a quella "vissuta" (se parlo di anziani ho paura di trovarmi murato in qualche grotta del grostè dal buon Filippo), che hanno fatto la loro esperienza sul campo in molteplici ambiti.
Spero che questo argomento possa interessare un pò tutti, scaturendo una discussione che vada oltre ai tecnicismi, ma parli di rapporti tra le persone e ad un nuovo modo di "imparare la montagna"