Ferrata Gianni Costantini Moiazza Sud segnalata da Fabio Trevisani & Claudio Magri - 2011
PERCORSO STRADALE Da Agordo nella Val Cordevole o da Chiesa in Val Zoldana è necessario raggiungere, in entrambi i casi su strada a tratti stretta ed un po’ sconnessa,il passo Duran a quota 1600mt dove si può parcheggiare nei pressi dei rifugi Tomè e San Sebastiano. Bella panoramica già alla partenza,specie su Pelmo ed Antelao,ben visibili ad est. AVVICINAMENTO
Conviene partire il più presto possibile,
perché il giro è lungo e,specie se siamo in estate, si
rischia di trovare “traffico” e di essere notevolmente
rallentati. Dal parcheggio parte il sentiero n.549 che
conduce attraverso un breve tratto di pascoli con segni di
erosione alla strada sterrata che passando sopra Malga Duran
raggiunge il rifugio Bruto Carestiato -1834mt-
in circa 45' dal passo. Sulla strada la vista si apre ad
ovest,dove si comincia a scorgere l’estremità meridionale
del gruppo delle Pale di S.Martino, fra le quali spicca già
la bella piramide dell’Agnér. L'attacco della
ferrata, posto a circa 1850mt di altitudine e visibile anche
da lontano (grosso bollo rosso quadrato), si
trova seguendo a nord l'indicazione "ferrata G. Costantini",distante
circa 10' dal rifugio Carestiato su facile sentiero. Il
paesaggio è davvero maestoso e la sua grandezza incute quasi
timore: ci si sente piccoli piccoli di fronte alla
grandezza della montagna, specie osservando la salita che ci
aspetta. LA FERRATA Come spesso avviene,la ferrata presenta
subito difficoltà tali da eseguire una selezione di chi non
fosse sufficientemente preparato. Si inizia con un traverso
di 30-40mt in leggera salita su roccia salda ma
verticale,che piega poi brevemente verso l’esterno seguendo la conformazione del versante fino a
raggiungere una stretta ed esposta cengia. Alcuni passaggi
sono già un po’ atletici perché la roccia è abbastanza
liscia e non ci sono appoggi artificiali; in
realtà,però,osservando con attenzione si riescono sempre a
trovare i piccoli appoggi per i piedi
necessari per evitare di sollecitare troppo le braccia fin
da subito: il percorso è solo all’inizio e vale la pena di
non affaticarsi anzitempo. Il cavo prosegue su una stretta
cengia che traversa ancora verso sinistra ora in piano ora
in leggera salita; l’esposizione è notevole
e bisogna procedere con cautela ma è facile trovare sempre
dove appoggiare i piedi. La prima parte della via
procede ora senza particolari difficoltà in traversata
obliqua a sinistra su roccia liscia ma poco inclinata,mantenendo il proprio sviluppo sulla destra del vallone
di roccia concava gialla e nera che caratterizza le pareti
circostanti. Siamo intorno a quota 2000 e si sale
abbastanza a lungo parallelamente all'ampia conca che
delimita il margine sinistro della via, sempre su roccia
salda, attraversando zone coperte da pini mughi,tra brevi cengette e facili placche inclinate,un po’ esposte ma
ricche di appigli naturali. La quota cresce rapidamente
mentre la vista si amplia sulla valle di Agordo,con il
rifugio Carestiato sempre visibile alle nostre spalle. Raggiungiamo infine la parete rocciosa di fronte a noi
percorrendo un ultimo tratto fra facili roccette e sentiero
su pendio erboso. Ad ovest si intravede
l’altipiano delle Pale di S. Martino con la imponente mole
dell’Agnér; in primo piano,invece,colossali
pareti dolomitiche verticali. Se non abbiamo
trovato coda e siamo stati abbastanza rapidi,è passata
circa un’ora dall’attacco e siamo a quota 2170mt,proprio
in corrispondenza di quello che viene spesso considerato il
punto-chiave dell’intera via: un esposto traverso verso
sinistra,lungo 7-8mt,su roccia piuttosto liscia ed unta. In realtà, pur costituendo indubbiamente un
passaggio impegnativo, la “pratica” viene sbrigata in pochi
secondi e senza eccessivi affanni perché si tratta di soli 3
tratti di cavo (2 cambi-moschettone) nei quali non è nemmeno
necessario procedere in aderenza o sollecitare più di tanto
le braccia: gli appoggi per le punte degli scarponi
ci sono,basta cercarli, e si possono
“cambiare” i
moschettoni in relativa tranquillità. Qualcuno potrebbe
forse restare deluso per il non eccessivo impegno di questo
famoso traverso ma avrà presto tempo per recuperare, anche
se in realtà in tutta la via non si trovano praticamente mai
tratti verticali nei quali bisogna sollevarsi di peso,nonostante alcuni passaggi abbastanza atletici. Seguono
infatti immediatamente,in rapida sequenza ed in grandissima
esposizione,un salto verticale di circa
50mt su roccia liscia,
attrezzato
con provvidenziali staffe ed appoggi metallici,ed alcuni tratti pure verticali ma con roccia più
gradinata,superati i quali ci si ritrova in
comoda posizione grazie ad un simpatico e panoramico pulpitino. Ancora poco e, sempre tra placche
inclinate ed un tratto di facile sentiero, si raggiunge la Pala del Belia a quota 2295mt
(cartello), mentre la vista si apre vertiginosa. Abbiamo appena trascurato il bivio che a
sinistra riporta a valle interrompendo così la ferrata,con
via di fuga costituita comunque da un sentiero abbastanza
impegnativo;il bivio, tra l’altro non evidentissimo, è
individuabile da un grosso masso sopra il quale è indicato
il rifugio Carestiato con scritta rossa e freccia. Presso la
Pala del Belia si può prendere fiato un attimo e
rifocillarsi: ormai la parte più impegnativa
della ferrata (almeno fino alla cresta delle Masenade) è
alle spalle, e vale anche la pena di godersi per un attimo
l’imponente paesaggio dolomitico che sta davanti ai nostri
occhi, ormai illuminato dal sole del mattino. Ma
il percorso è ancora lungo e non ci si può incantare più di
tanto. Si riparte con un breve ed esposto traverso a
sinistra e si inizia a risalire verticalmente
ed in grande esposizione,una parete
gradinata ma solo con alcuni passaggi un po’ atletici. Ci si
sposta ora a sinistra all'interno di un lungo ma facile
canale inclinato senza passaggi
particolarmente tecnici, che si risale lungamente. Solo
nella parte sommitale si trova un breve ma facile salto
verticale. Si sbuca su un grande versante
ghiaioso che conduce in pochi minuti ai
piedi di un ampio anfiteatro, con panorama che nuovamente si
allarga verso sud e est mentre a nord la vista è chiusa da
impressionanti bastioni dolomitici. Con un buon
ritmo, fin qui bastano circa 2.00h dall’attacco: vale
sicuramente la pena di andare un po’ più spediti nella prima
parte, per poter marciare con più calma successivamente,quando si è più stanchi ed il panorama si amplia a 360°.
A questo punto si
traversa verso destra su cengetta non attrezzata,e si riprende subito la via ferrata sopra
all’impressionante solco di un ripido vallone.
Si sale con vista sul gruppo della Schiara a
sud,tra salti verticali attrezzati,placche
gradinate,cenge e brevi
tratti di facili roccette. Infine, tramite un facile camino
non esposto,si raggiunge Cima Cattedrale
(2557mt,con evidente segnalazione). Siamo ormai
oltre la metà della salita alla vetta: ci aspetta ora la
parte più panoramica, e questa può quindi essere l’occasione
per un’altra breve sosta. Ci si sposta ora a destra,seguendo una grossa freccia indicatrice.
Dall’alto della quota raggiunta, la vista sulle Pale è
abbastanza ampia e lo spettacolare Agnér non
appare più ora così alto sopra di noi;
si rimonta ora il dosso di fronte a noi secondo la via più
logica su terreno relativamente facile e non
troppo esposto,sempre ottimamente attrezzato,tra placche inclinate mai troppo impegnative:
solo un paio di brevi passaggi richiedono la progressione in
aderenza. Con una cengia
si traversa a sinistra, alla base dell’ultimo salto che,con percorso un po’ più impegnativo ed
esposto,ci conduce sulla cresta delle Masenade,dove finalmente compare alla nostra sinistra la
vetta della Moiazza (foto 10859). Montati sulla cresta, se
la giornata è limpida la vista è eccezionale: in
primo piano tutto il gruppo della Molazza
con la Civetta immediatamente dietro,più ad est Pelmo
ed Antelao e,più lontani ma riconoscibilissimi,i gruppi del
Cristallo e del Sorapiss.
Si percorre ora la spettacolare cresta,e
qui vale la pena di prendersela comoda perché il panorama è
veramente godibile. Senza distrarsi troppo, però: alcuni
tratti sono un po’ esposti
ed un piede in fallo sarebbe decisamente sconsigliato. La
vetta è ancora ben lontana,e ci aspetta un tratto in discesa,con un passaggio piuttosto verticale,verso
la sottostante Forcella delle Masenade a quota 2560mt, dove
si trova anche il bivio
per il sentiero che conduce in circa 40’ al bivacco Grisetti,
ben visibile ad occhio nudo in caso di giornata limpida,
sentiero che può essere utilizzato come seconda via di fuga
per il rientro al passo Duran (comunque lunga). Di strada ne
manca ancora parecchia:
ora, quasi in piano, si procede su facili e panoramiche
placche,fino alla base
di una parete verticale, ove una divertente e liscia cengia
(attenzione in caso di superficie bagnata) ci
conduce in leggera discesa alla base del successivo tratto
attrezzato, sempre con vista molto ampia sul versante Zoldano. Siamo sulla ferrata da circa 4 ore e la
fatica comincia a farsi sentire anche per i più allenati ma
non bisogna perdersi d’animo, perché ci aspetta un salto
attrezzato verticale, sempre molto panoramico,decisamente esposto e con alcuni passaggi un
po’ atletici,anche se non lunghissimo. Dopo un
ulteriore tratto verticale un po’ impegnativo
si approda su un ghiaione,che
bisogna risalire faticosamente per circa un quarto d’ora,alla fine del quale si trova finalmente il
bivio per la vetta, segnalato con una sbiadita scritta rossa
su un masso).
La via principale prosegue sulla sinistra verso la cengia
Angelini,che percorreremo al ritorno,mentre a destra si sale
alla vetta: se si ha ancora un po’ di energia non si può
assolutamente rinunciare alla salita!. La cima dista in
linea d’aria solo poche centinaia di metri ma per
raggiungerla serve almeno una mezz’oretta di percorso
spettacolare ed impegnativo. A dispetto infatti di quanto
riportato spesso in letteratura, il primo tratto della
salita successiva è certamente il più impegnativo
dell’intera via dal punto di vista tecnico, ed al di là
della fatica accumulata. Una decina di minuti in tutto,
certo senza difficoltà estreme, ma con alcuni passaggi più
tosti di quanto fatto fino ad ora. Si inizia subito con un
traverso di alcuni metri verso destra, su roccia
liscia e scarsa di appigli per gli scarponi, dove serve fare
affidamento sull’aderenza sollecitando le braccia (molto più
che sul cosiddetto punto-chiave). Si scavalca faticosamente
una selletta,attraverso la quale ci si sposta sul versante
opposto della affilata cresta,dove ci aspettano alcuni
passaggi verticali ed atletici),e
dalla quale vediamo ormai l’anticima
e
l’itinerario da seguire. Il “peggio” ora è passato ma bisogna prestare
attenzione all’esposizione per un passaggio sulla cresta e
per il percorso sulla successiva cengia),attrezzata solo nella parte finale,che
percorriamo verso sinistra. Affrontiamo quindi l’ultimo
semplice passaggio ferrato
ed alla fine di esso, guardando indietro,possiamo apprezzare
l’esposizione della parte finale della via. Segue un facile sentiero che in pochi
minuti ci conduce all’anticima. Non è
finita,però: per raggiungere la ampia vetta,costellata di
grandi ometti di sassi,bisogna
ora seguire la traccia con bolli rossi abbassandosi di una
decina di metri di quota e risalendo poi brevemente, facendo
attenzione ad un paio di passaggi decisamente esposti e non
attrezzati. Siamo così in vetta,a
quota 2878mt,dopo quasi 6.00h da passo Duran (anche se i
tempi possono variare molto a seconda delle condizioni,
dell’allenamento,dell’affollamento,del meteo,etc...). Sul
versante est la cima degrada dolcemente su ghiaioni mentre
dall’altro lato un impressionante salto verticale guarda
verso la mole della Civetta,la cengia Angelini ed il sottostante ghiaione fino al bivacco Ghedini che raggiungeremo sulla via del
ritorno. Dalla cima la vista spazia finalmente anche verso
nord con splendida vista su Moiazza nord, Van delle Sasse e
Civetta, Marmolada e Sella,Pale di S. Martino col suo altopiano,Cristallo,Cristallino e Piz Popena. E’ solo
il caso di osservare che dopo la fatica fatta,vale
sicuramente la pena di non fermarsi all’anticima,perché
altrimenti una parte rilevante dal panorama sarebbe perduta. DISCESA Per continuare l'escursione è necessario
ripercorrere a ritroso la salita alla cima tornando così al
bivio (Sella Alta). Attenzione all’esposizione
ed all’ultimo liscio traverso prima del bivio, giunti al
quale si prosegue verso la nostra destra, aggirando
inizialmente una roccia sporgente e
cominciando a scendere in direzione della maestosa cengia Angelini segnalata con cartello
e bolli rossi. Si prosegue ora lungamente sulla cengia,inizialmente ghiaiosa e relativamente
tranquilla,poi più stretta ed esposta ma
attrezzata fino ad un primo bel punto panoramico,da dove è già possibile osservare buona parte
del proseguimento della cengia
fino al successivo balcone panoramico. Se il tempo è favorevole e la vista può spaziare,
questo tratto, anche se relativamente breve, è probabilmente
uno dei più spettacolari dell’intero percorso per la
conformazione della cengia, peraltro senza alcun passaggio
tecnico o fisicamente impegnativo. Vale
quindi la pena di prendersela comoda (almeno qui!) e di
godere appieno del cammino strepitoso che ci aspetta. La
cengia prosegue in leggera discesa,e seguendo
il suo andamento si aggirano alcuni spigoli. Una sosta è consigliata per osservare tutto
il suo sviluppo successivo fino al suo punto finale. Percorrerla è un vero
piacere,fino alla fine. L’esposizione è veramente notevole
ma ciò non fa altro che aumentare la
spettacolarità del percorso, sicuramente paragonabile a
quello delle più celebri cenge delle Dolomiti di Brenta. Dal
balcone panoramico splendida vista sia sul percorso fatto
sia sulla Civetta col Van delle Sasse
ben visibile anche il bivacco Ghedini-Moiazza,posto presso la Forcella delle Nevere -2601mt- , che
raggiungiamo in una ventina di minuti dapprima ancora su
cenge,poi sul ghiaione del Van delle Nevere
(2670mt - cartello),un po’ scomodo e friabile,ed infine con un breve tratto di comodo sentiero
pietroso. Simpatico il bivacco,con
ampia vista sulla vetta della Moiazza Sud e sulla
Civetta. Vale ora la pena di ristorarsi perché il
percorso di ritorno è ancora lungo,e chi non avvertisse già
la stanchezza,comincerà a farlo molto presto: con 7-8 ore di cammino nelle gambe,la via attrezzata che ci aspetta
ci darà il colpo di grazia. A pochi metri dal bivacco
cominciano nuovamente le corde fisse che scendono nel canalone del Van del Cantoni ma dopo pochi
metri di discesa proseguono inaspettatamente traversando per
un centinaio di metri in lieve salita,in
direzione sud-est sotto la cima delle Nevere. Il fondo valle
non sembra lontano perché appare proprio “lì sotto”: in realtà le cose stanno diversamente, come presto
constateremo sulla nostra pelle. La discesa prosegue infatti
lungamente su terreno misto tra salti rocciosi attrezzati,sentiero tra ghiaioni
e singolari rocce levigate,sempre con
splendida vista sulle crode dolomitiche circostanti. La fine dei tratti attrezzati non è segnalata ma
ugualmente si intuisce che in fondo al ghiaione (intorno a
quota 2100mt) è possibile togliere finalmente l’imbracatura: il sentiero costeggia
un piccolo canalone secondario deviando progressivamente
verso sinistra in direzione dei verdi mughi sottostanti tra
i quali già si intravede il sentiero n. 554 (cartelli) che a
breve incrocia l'alta via delle Dolomiti n.1 (circa 1.30h
dal bivacco) da dove è possibile dare un’occhiata
all’itinerario di discesa
ed a quello restante per raggiungere il rifugio Carestiato.
Siamo intorno a quota 1790mt, e muovendoci ora con leggero
saliscendi in direzione est, con bella vista dolomitica,in circa 40' raggiungiamo il rifugio Carestiato. Infine, per il percorso già fatto la mattina
si scende, incontrando poco sotto una
provvidenziale fontana ristoratrice), arrivando
così a passo Duran in circa 40’: davanti a noi
si staglia ora la Catena di San Sebastiano illuminata
dal sole. CONSIDERAZIONI Spesso si utilizza il rifugio Carestiato
come punto di pernottamento la sera prima della
ferrata, risparmiando il viaggio in auto,oltre alla prima
ora di cammino. La Costantini è spesso denominata “la super-ferrata” ed è frequentemente considerata la più difficile
delle Dolomiti per una serie di elementi,tutti davvero
rilevanti: durata,impegno fisico,lunghezza,esposizione.
Spesso viene anche descritta come molto impegnativa dal
punto di vista tecnico: in realtà, invece,non si trovano
mai passaggi eccessivamente impegnativi;quantomeno,nulla
di paragonabile alle ferrate tipo Zucco Pesciola
o Gamma 2
della zona di Lecco,per chi le conoscesse. Basti dire che
su tutto il percorso non è nemmeno necessario utilizzare un
rinvio per far riposare le braccia,come invece può essere
utile su altre ferrate (per es. la Piazzetta).
Soprattutto,non è praticamente mai necessario sollevarsi di
peso a forza di braccia,perché anche nei passaggi più
tecnici,cercando con un po’ di pazienza,si trovano sempre
gli appoggi per la punta degli scarponi,evitando quindi di
sollecitare troppo gli arti superiori. Il celebre traverso
,a suo tempo considerato come il punto-chiave,ora non è più un problema,mentre i
tratti più impegnativi sono quelli finali prima della vetta.
La discesa non è tecnicamente impegnativa ma è comunque
lunga e bisogna prestare attenzione ad evitare passi falsi
per la fatica accumulata. L’impegno fisico complessivo è
infatti rilevante,perché in condizioni normali,con le pause
necessarie (ma senza esagerare), per il giro completo da
Passo Duran si possono impiegare 10-11 ore, di cui almeno
7-8 in ferrata, anche se non tutti accompagnati dal cavo.
Bisogna quindi essere ben allenati, anche perché, fatta
eccezione per la prima via di fuga,la stessa discesa dalla
Cresta delle Masenade per il bivacco Grisetti richiede
grossomodo i medesimi tempi complessivi. Pare superfluo
ricordare che l’escursione va affrontata solo con tempo
assolutamente stabile,sia per evitare tratti di roccia
umida,sia per evitare pioggia e temporali (soprattutto!)
sia per godere dello splendido panorama su tutti i fronti.
Il periodo di fine estate ed inizio autunno (fine
settembre), quando l’abbiamo percorsa noi,con cielo
eccezionalmente terso e temperature ideali,è probabilmente
il periodo più adatto,anche perché la faticaccia che si fa
non merita di essere ripagata con una giornata nebbiosa….
Splendido (e indispensabile) partire all’alba,con il sole
che progressivamente sale illuminando le Dolomiti. Utile
portare una buona scorta di acqua, anche se pesa,perché una
volta lasciato il rifugio Carestiato non vi è più
possibilità di recuperare acqua potabile. Infine una breve
nota (ovvia): in caso di presenza di tratti umidi, bagnati o
con neve,l’impegno rischia di aumentare notevolmente,insieme
ai tempi di percorrenza qui indicati. In caso di dubbio è
sicuramente meglio telefonare al rifugio od alle guide
alpine per conoscere le condizioni del tracciato prima della
partenza. |