Notte inquieta quella appena trascorsa.
Verso le tre del mattino la suoneria del telefono interrompe bruscamente la fase REM del mio dolce sonno.
Dal tipo di suono, di breve durata, deduco che si tratta di una “notifica” di Whatsapp. Non sarà mica qualcuno della chat dei Somari che manda messaggi a quest’ora? Ormai sveglio, mi alzo e vado a togliermi il dubbio: non è un Somaro e tanto meno una bella donna che mi cerca, ma solo il promemoria di un appuntamento, che compare con dodici ore di ritardo. Ormai avvisare che arriverò in ritardo all’appuntamento mi sembra una cosa di cattivo gusto e lascio stare.
Torno a dormire.
Non passa molto tempo che un altro suono elettronico mi strappa via dalle braccia di Morfeo.
Questa volta mi sveglio di soprassalto, sorpreso da un suono incessante e mai sentito prima. Ma che cos’è?
Ebbene si tratta del mini-computer di bordo dello step con cui abitualmente mi alleno a casa. E’ andato in tilt e continua a suonare.
Sono le macchine che si ribellano, un classico della fantascienza.
Tolgo le batterie dall’aggeggio e torno a dormire, ma non c’è due senza tre.
Alle quattro e mezza mi sveglia la Furia. Di nome e di fatto, il mio gatto vuole da mangiare e non conosce il perdono.
Sfamato il gatto, scappo di casa prima che succeda qualcos’altro e vado in Alpago. Là troverò la pace e il silenzio che cerco.
Senza traffico lungo le strade, raggiungo in un’ora il Bellunese.
Certi piccoli borghi dell’Alpago hanno l’aspetto di Sarajevo dopo la guerra ed altri, che ospitano diversi esempi di Street Art, ricordano Berlino dopo la caduta del Muro. Ad ogni modo, meritano una visita se siete nei paraggi.
Superato l’abitato di Chies, lascio l’auto davanti al Casone Crosetta.
A parte la strada, come sono arrivato qui?
L’anno scorso, sulla cima del Monte Provagna, sono rimasto affascinato dal Crep Nudo. Non parlo del fascino dell’impresa, del superamento della difficoltà o della prestazione, ma parlo del fascino della scoperta, che è il premio inaspettato dell’esplorazione.
Il bello secondo me, inoltre, sta nella curiosità.
L’anno scorso ho “scoperto” questa parete che, molto alla lontana, mi ha fatto pensare al Cervino (che di persona non ho mai visto. Altra curiosità).
Oggi sono qui, pronto a salire la via normale al Crep Nudo. Merito della curiosità e del desiderio continuo di esplorare. Merito anche un po’ del mio gatto.
Dal Casone Crosetta mi porto in breve alla Casera Venal, dove si trova un bivio.
Mi tengo a destra sul sentiero 933, lasciando a sinistra una cava di pietra ed il sentiero 932.
quest’ultimo porterebbe alla via ferrata Costacurta, ma quella è un’altra avventura.
Una buona parte del sentiero da me scelto si sviluppa all’interno di un bosco che, dopo le recenti piogge, sprigiona proprio un buon profumo.
Respiro a pieni polmoni, avido sì di aromi ma anche di ossigeno. Il sentiero, infatti, è bello ripido e dopo qualche centinaio di metri di dislivello, mi fermo a riprendere fiato e mi sparo una maltodestrina.
A mano a mano che si sale, l’avvolgente bosco di faggi e abeti si apre e lascia il posto ai più chiari ripidi verdi, caratteristici di tante montagne della zona.
Si vede a sinistra il Teverone e più a destra il complesso delle Rocce Bianche che dal Fagoreit si estende fino al Crepon.
Sulla carta Tabacco, lungo il sentiero CAI, ad un certo punto si legge la scritta “Le Buse”: interessante notare come in molte relazioni non se ne faccia menzione. Chiaro, si tratta di un dettaglio, ma è un dettaglio importante da considerare se si vuole percorrere lo stesso itinerario d’inverno, quando il manto nevoso cela le insidie del terreno. Da notare, inoltre, che queste buche, in particolare la più profonda, si trovano lungo il sentiero CAI, che in questo caso coincide con la traccia scialpinistica.
Con piccoli salti di roccia, la cuspide del Crep si distingue morfologicamente dal resto della catena montuosa e, con il suo colore grigio, senza vergogna si spoglia dei verdi e si mette a nudo. Da qui il nome di Crep Nudo.
Gli ultimi metri, più facili a scendere che non a salire, si percorrono su ghiaie franose mentre una pioggerella leggera le rende per giunta scivolose.
Nonostante qualche goccia, il meteo si rivela più generoso del previsto e mi premia con una panorama a dir poco vario e maestoso.
Duranno e Cima dei Preti, i Big delle Prealpi Carniche, si fanno notare subito e con arroganza tengono sotto scacco la più piccola Cima dei Frati.
Più a destra gli Spalti di Toro e la Croda Cimoliana fanno da culla al Campanile di Val Montanaia, un diamante di roccia così piccolo ma così tanto ambito.
Più in là ancora un altro ciccione di nome Pramaggiore.
Non solo aride crode, ma anche freschi e azzurri laghi di montagna: Il lago di Barcis, artificiale, e quello di Santa Croce, naturale.
Sono appena le otto di mattina quando vedo tutta questa meraviglia. Valeva la pena sognare qui ad occhi aperti che nel letto ad occhi chiusi.
Un giorno spero di potervi raccontare qualcosa anche del Re dell’Alpago e del perché è stata aperta la via ferrata Costacurta, ma per fare ciò dovrò ritornare.
Dove?
In Alpago.
Te Vien?
Mi vado.