Prima salita invernale solitaria.
Per l'occasione lascio le montagne "di casa" e parto alla volta dei Monti del Garda.
Sono bastati tre giorni a Riva l'anno scorso perchè in questi posti ci lasciassi il cuore.
Parto da Pordenone di mattina, molto presto. Così presto che mi viene in mente lo Sherpa. Chissà perchè.
Al mio fianco, però, questa volta c'è la mia compagna. Ha ancora gli occhi chiusi dal sonno ma pian piano la aiuto a salire in macchina.
Fino a Verona si va via puliti senza traffico e poi su per l'autostrada del Brennero.
Si può dire che l'escursione abbia inizio già qui dove, facendosi spazio tra le pareti rocciose alle pendici del Monte Baldo, comincio a sentirmi nel vivo dell'avventura. In esplorazione.
Esco dall'autostrada ad Avio e in breve raggiungo il paese di San Giacomo, dove lascio la macchina e la compagna per partire alla conquista di un monte così alto che lo hanno chiamato Altissimo.
Dicono che dalla cima si riesca a vedere il Lago di Garda ma, diffidente come sono, se non vedo non credo.
La relazione letta su una guida del Trentino suggerisce di andare con le ciaspole; i gestori dei rifugi locali consigliano di avere con se al massimo un paio di ramponcini; però, se alcuni tratti più ripidi lungo la via normale fossero ghacciati, sarebbero indispensabili ramponi e piccozza.
Nel dubbio parto così bardato ed equipaggiato che gli abitanti del paese, osservandomi dalle finestre delle loro case, prendono paura e tirano le tende al mio passaggio.
Lasciate le case alle spalle, intraprendo un'impegnativa salita attraverso un oscuro bosco dove a fatica riesco a rompere il fiato, dopodichè un pendio più dolce alla luce del sole mi permette di guadagnare il pianoro del Monte Campo. Non molto distante da me si erge la croce di vetta e in parte si trova anche una recinzione a proteggere gli avventori dalla scarpata sottostante, in modo da regalare in tutta sicurezza il panorama verso la vallata.
Con lo sguardo a monte salgo ancora finchè mi ritrovo a dover scegliere se spostarmi a sud-ovest come vedo fare alla maggior parte dei presenti oppure se affrontare, attenendomi alla relazione, il breve ma esposto traverso che porta alla Bocca Paltrane.
In cerca di emozioni, scelgo la seconda strada e in men che non si dica mi ritrovo isolato.
Ma non era comunque una solitaria? Sì, certo, ma non del tutto.
Infatti, ad essere sinceri, la presenza di altre persone fra escursionisti e scialpinisti mi offriva una certa sicurezza psicologica. Un po' come se ci fosse qualcuno a dirmi che sì, si può fare, il percorso giusto è questo. Inoltre, per quanto fosse facile da individuare la cima dell'Altissimo e la via normale che vi ci porta, ammetto che avrei trovato maggiori difficoltà nella salita se qualcuno prima di me non avesse lasciato gentilmente una traccia sulla neve. Ammetto anche che, se non avessi visto passare due alpinisti per quel traverso una decina di minuti prima, dubito che mi sarei avventurato in quella direzione. Non tanto per la mancanza di capacità tecniche o di attrezzatura, ma per la difficoltà di orientamento tipica dell'ambiente innevato e per il disagio che può derivarne. Tanto più se la montagna non la si conosce e non si trova la segnaletica a dare aiuto.
Mentre sono sul traverso mi accorgo di calpestare una neve sempre più liscia e compatta mentre, non molto distante, mi fa compagnia un salto di roccia che, nel caso di una scivolata, mi riporterebbe alla macchina in un attimo. Se intrapresa potrebbe essere vista come una sorta di via di fuga. O meglio, una via di sfiga.
È arrivato dunque il momento di indossare i ramponi e di tenere a portata di mano la piccozza. Una volta raggiunta la Bocca Paltrane, fuori pericolo mi gusto un buon thè caldo osservando i due alpinisti di prima che scendono giù per il versante nord-est lasciandosi alle spalle la vetta. Mi chiedo con curiosità dove siano diretti. Poco importa, la mia via è un'altra: una lunga bianchissima cresta mi aspetta.
L'ultimo pendio, d'accordo con la stanchezza accumulata, mi costringe a fermarmi un paio di volte per riprendere le forze. Colgo l'occasione per buttare un occhio oltre l'altissimo, ma del lago non vedo neanche l'ombra.
Forse mi hanno mentito. In compenso vedo ergersi imponenti l'Adamello, la Presanella ed il Brenta.
Dall'altro lato, invece, si vede il Monte Baldo.
Ancora pochi passi e dall'anticima la vista del fumo che fuoriesce denso dal camino del rifugio mi stimola un certo appetito. Ma prima è d'obbligo un ultimo sforzo per arriva in cima, dove una strana croce segna il punto di arrivo.
Forse Tolkien è stato da queste parti perchè sembra di vivere in uno dei suoi romanzi fantasy, tanto è lo spettacolo a cui si ha la fortuna di assistere.
Allora era vero. Il lago c'è e si mostra in tutta la sua maestosità.
Prima di scendere riconosco nei due uomini che mi si avvicinano gli alpinisti dapprima solo intravisti. Uno dei due mi chiede di scattargli una foto ricordo insieme al suo socio. Accolgo la richiesta e, siccome mi vergogno di farmi un selfie, chiedo a mia volta se mi ricambia la cortesia.
Conosco così due simpatici trentini che mi rivelano di essere saliti a suon di picche attraverso un canalone ghiacciato che si trova a nord. Dato che il vento sferza aggressivo sulle nostre teste, chiedo loro di continuare il racconto a suon di birre in rifugio.
Tra una storia e l'altra, rientriamo a valle insieme.
Prima di lasciarci, uno sguardo, una stretta di mano ed un saluto. E naturalmente l'invito a ritrovarci, magari dalle mie parti.
Arrivato al parcheggio, trovo la macchina ma non la compagna.
Giustamente lei ha preferito trovare qualcosa di suo gradimento da fare nel frattempo e ora mi sta aspettando. Allora la raggiungo blando blando ma con lo sguardo rivolto al Baldo. Arrivederci.