Tra una macchina che sorpassa e un semaforo che lampeggia, come ogni mattina guido verso la meta lavorativa e immancabilmente il mio sguardo ricade sul Monte Cavallo, ormai ben imbiancato dopo le abbondanti nevicate di quest’anno. Nello stesso momento e non molto distante dal mio abitacolo, un uomo di nome Paco, seduto in treno, guarda fuori dal finestrino e vede le stesse cime innevate, dalle quali è attratto in modo irresistibile.
“È da un po’ di mattine che ci penso” dice, “Secondo te ce la facciamo a salire il Tremol con la neve?”. “Il rischio di valanga è uno” rispondo dopo una rapida consultazione del bollettino, aggiungendo “Ci serviranno ciaspe, ramponi e una bevanda corroborante a testa”.
Quando i mezzi non mancano, i desideri possono diventare presto realtà. A natale poi…
In un giorno cupo, il nostro animo sereno rischiara la via che dalla frazione di Piancavallo, nei pressi del palaghiaccio, ci porta verso la baita Arneri. Attraverso un sentiero dal manto ghiacciato, superiamo a ovest il piccolo bosco che delimita la soprastante Val Sughet.
Non fa molto freddo, nonostante tutto.
Nei pressi della baita, dove arriva la seggiovia della pista “tremol 1”, ci fermiamo per una breve sosta. Se il cielo prima era nuvoloso, ora lo è di più, ma la possibilità di proseguire in ragionevole sicurezza c’è e la voglia di andare avanti non ci ha abbandonato.
Sono trascorsi circa vent’anni da quando mio padre mi portava a sciare su questa pista la domenica.
Ricordo quando, per la prima volta, mi portò sul “tremol 2”, la più alta pista di Piancavallo, raggiungibile con un secondo tratto di seggiovia.
Se già il nome riusciva ad incutere un certo timore, quella vecchia seggiovia a due posti, stretta, traballante e ripidissima faceva il resto.
D’altro canto, però, ricordo il grande fascino delle pareti rocciose che vedevo affiorare dalla neve e, una volta smontato, rimasi sorpreso di non essere arrivato nel punto effettivamente più alto della montagna. Mancava ancora un pezzo...
Chi l’avrebbe mai detto, quella volta, che oggi sarei tornato proprio qui, d’inverno, con lo stesso ambiente innevato di allora, a rievocare un demone del passato.
Arrivati nel punto esatto in cui finiva quella vecchia seggiovia, ora smantellata, ad accoglierci troviamo un vento esageratamente forte, ma mai abbastanza da spazzare via le nubi che rimangono ad avvolgerci nel gelo.
Decidiamo di lasciare le ciaspole vicino ad una baracca per poter risalire più agevolmente un tratto delicato di quella che è l’Alta Via dei Rondoi.
Aggirata una parete di roccia, in corrispondenza di un tratto attrezzato che protegge una breve cengia esposta, troviamo riparo dal vento e cogliamo l’occasione per indossare i ramponi.
Siamo pronti a compiere l’ultimo sforzo prima della fine.
Tra il crinale ripido e la vetta, desolata per la mancanza di una croce, ritroviamo un vento sferzante che ci sfida a percorrere una splendida cresta innevata, in equilibrio fra le nuvole e la nebbia.
Il paco è ora seduto sulla cima del Tremol e mi offre del formaggio ubriaco accompagnato da una calda e corroborante bevanda.
Accetto volentieri e per afferrare meglio il formaggio mi tolgo un guanto ma questo, sollevato dal vento, tenta la fuga giù per la ripida parete sud.
Il Paco si getta sul guanto per fermarlo ed io sul Paco per fermare lui.
Attimi di paura. A ripensarci è meglio scendere per la stesso sentiero di salita. Non lo diciamo apertamente, ma lo pensiamo entrambi. Con passo blando e picca al petto, ce ne torniamo a valle stanchi, mezzi congelati ma molto contenti.
“Chissà cosa hanno di buono da bere all’Arneri” chiedo al Paco. “C’è un solo modo per scoprirlo” conclude lui...