Festa di Ognissanti, ma di andare per cimiteri proprio non se ne parla.
In cimitero vorrei andarci una sola volta, a tempo debito.
E' autunno inoltrato ma le belle giornate non mancano e mercoledì sembra che sarà proprio una di queste.
Non ci sono scuse per lasciarsi sfuggire l'occasione di fare un salto nelle alte terre.
In particolare ho in mente le Dolomiti Ampezzane, un po' troppo trascurate durante la scorsa stagione estiva.
Un sopralluogo nella zona delle Cinque Torri qualche giorno prima mi permette di notare come ci siano ancora diversi sentieri percorribili in assenza di neve/ghiaccio.
Una conferma delle buone condizioni di percorribilità, inoltre, mi arriva dall'osservazione del mio prossimo obbiettivo escursionistico attraverso una tattica webcam.
Questa volta non sono solo ma trovo un più che degno compagno di avventura nel Paco, che tra le varie doti posside la qualifica di Amico dei Somari.
Si parte la mattina presto per il Cadore e, ancora prima di arrivare a destinazione, si riesce a vedere in modo nitido il Pomagagnon, splendido massiccio che protegge il Cristallo dall'abitato di Cortina.
Più che un abitato, però, a giudicare dal movimento in paese si direbbe un disabitato.
Infatti, vuoi per la festività corrente vuoi perchè nelle mezze stagioni quasi tutte le attività sono chiuse, Cortina appare come un paese fantasma.
Ed è così che, in una sorta di scenario post-apocalittico, raggiungiamo la località di Fiames.
Parcheggiamo l'auto poco dopo il Camping Olympia, vicino ad un parco giochi per bambini ormai vuoto, mentre a qualche decina di metri da noi un'anziana signora cammina con lentezza senza girarsi al nostro arrivo.
Da un lato ci tengono d'occhio le Tofane di Mezzo e di Dentro con l'aiuto del sottostante Col Rosà, mentre dall'altro lato ci scruta sospettoso il Pomagagnon.
Il sentiero che porta all'attacco della via Strobel sale ripido lungo dei corti tornanti su ghiaie fino all'incontro con la parete ovest, dove si trova la targa metallica con la dedica allo scoiattolo Albino Michielli.
Da qui per proseguire ci si incammina lungo un'ampia cengia che punta verso sud e, dopo un centinaio di metri, si incontrano i primi i cavi.
Imbragati e rifocillati a dovere, ci stacchiamo da terra alla volta della Punta Fiames.
La via ferrata è moderatamente difficile con un paio di passsaggi più tecnici in corrispondenza della prima parte dell'itinerario, dove si è chiamati a superare due camini ed una parete piuttosto verticale.
Verticalità ed esposizione, tuttavia, non mancano nemmeno nei tratti successivi.
Inoltre, a più riprese, le attrezzature si interrompono per alternarsi a tratti di sentiero dove radi ometti sopperiscono alla mancanza di segnavia verniciati.
Se indecisi, è meglio proseguire stando più vicino alla parete piuttosto che allontanarsi da essa.
Altrimenti ci si spingerebbe fuori dal normale tracciato fino a percorrere un'ardita variante di II+, ad oggi mai ripetuta, che porta il nome di "diretta Paco-Giusna".
A circa due terzi della via, troviamo un lungo terrazzo dove sostare e rigenerare sia la mente che il corpo grazie ad una corroborante bevanda calda.
Si tratta di un thè saggiamente preparato dal Paco secondo una ricetta destinata a rimanere un segreto di famiglia.
Eppure, sorseggiando tale bevanda, riesco a distingure delle note floreali che non mi sono nuove al palato.
Più tardi, indeciso su quale delle due scale salire, scoprirò che si trattava di Stravecchio.
Oltre la scala, ancora qualche tratto attrezzato ci separa dal pendio sommitale che anticipa la croce di vetta.
Sulla Punta Fiames il vento non si ferma e così neanche noi che, dopo un pranzo veloce ed un'ultima tazza della bevanda corroborante, ci rimettiamo in cammino aggirando a nord la Punta della Croce ed il Campanile Dimai, mentre la Croda Rossa ci spia da lontano.
Procediamo senza la benchè minima presenza umana, immersi in un incantevole silenzio che risponde all'egoistico desiderio di avere le Dolomiti tutte per noi.
Fino alla Forcella Pomagagnon incontriamo rare ed esigue chiazze di neve, tali da farci lasciare i ramponi negli zaini.
Ancora qualche metro di cavo ci aiuta a superare un breve traverso, per poi giungere in forcella dove ci attende uno spettacolo esclusivo.
Un tesoro nascosto, infatti, viene ritrovato proprio laddove nessuno se lo immaginerebbe.
Nel nostro caso nel mezzo delle Dolomiti Ampezzane, dove parrebbe impossibile nascondere un tesoro data l'alta frequentazione di queste montagne.
Quasi a volersi mostare offesa, la Croda del Pomagagnon, cima principale del gruppo, si riserva di rivelarci la via normale. Ed è uno dei rari casi in cui nemmeno internet sembra venire in aiuto, poichè di relazioni se ne trovano poche. Anzi, da quello che ho potuto vedere, se ne trova solo una, peraltro abbastanza datata, fra le pagine web di un sito molto noto a chi si cimenta nelle vie normali.
E' ciò non può che stimolare la mia curiosità. È un desiderio atavico di esplorazione che accomuna i più evoluti uomini alle più primordiali scimmie. Con la differenza che qualcosa di così inutile e sotto sotto insano, qual'è la conquista di una cima, non spingerebbe mai un animale privo di razionalità ad avventurarsi in luoghi così ostili. Ci si potrebbe perdere in lunghi e inutili discorsi morali.
Oppure ci si potrebbe rilassare e scivolare divertendosi come matti giù per il morbido e polveroso ghiaione che in breve ci porta fino ad arrivare in corrispondenza di una fitta distesa di mughi, che tagliamo a destra per tornare alla macchina, lasciando a sinistra il disabitato di Cortina e in alto i nostri sogni.
Pochi giorni dopo sono arrivate le precipitazioni e, sopra i 1800 metri, anche la neve.
Pochi giorni dopo probabilmente non saremmo più andati sul Pomagagnon e avremmo perso così una giornata indimenticabile. Ogni lasciata è persa ed ogni cosa persa è una parte di noi che muore.
Per quanto riguarda i cimiteri, mi sembra di aver già detto come la penso. In cimitero vorrei andarci una sola volta e non un poco per volta.