Passando da Pozza di Fassa, non si può non notare che proprio sopra al paese incombe un gruppo di ardite e verticali cime solcate da profondi canaloni.
Cime che dal basso sembrano insormontabili e persino irraggiungibili.
Inoltre, quando fa brutto tempo, queste montagne sono spesso squassate da poderosi temporali con tuoni e brontolii che fanno tremare i muri delle case di Pozza.
Sarà per questi motivi che il piccolo gruppo della Vallaccia è rimasto finora abbastanza intoccato e selvaggio, servito da ben pochi punti di appoggio e poco frequentato dall'uomo.
Un'oasi della Natura, che resiste in mezzo a montagne che subiscono ben altri livelli di antropizzazione.
In realtà la Vallaccia è alla portata del buon escursionista che sia in grado di affrontare una facile ferrata e non abbia paura di far fatica, perché l'itinerario attrezzato che attraversa questa zona solitaria non presenta particolari difficoltà tecniche, ma è lungo, faticoso e decisamente isolato.
Pare interessante, no?
Era da tantissimo tempo che non andavo in Vallaccia e in particolare al suo piccolo bivacco. Tempo, quindi, di ritornare.
Lascio perciò l'auto in un ampio parcheggio nei pressi di Malga Crocifisso e scendo per qualche centinaio di metri lungo la strada asfaltata a imboccare una forestale con indicazione per il bivacco Zeni.
Conosco bene questo bivacco, oggetto di recenti polemiche per la "sponsorizzazione" di una nota ditta di abbigliamento di montagna. Particolare punto di appoggio che gli arrampicatori sfruttano come base di partenza quando vanno alla conquista delle pareti che ne fanno da spettacolare cornice.
La strada forestale muta presto in sentiero. Un sentiero ripido che sale ratto nel bosco, tracciato per attraversare quante più linee di livello nel minor spazio possibile. Insomma, un taglia-gambe che si arrampica lungo il Rio Vallaccia puntando dritto dritto al cuore di questo gruppo.
Ogni tanto gli alberi si diradano a incorniciare il gruppo del Catinaccio, dirimpettaio diretto della Vallaccia.
Si attraversa il torrente e il bosco inzia a sfoltirsi. Gli alberi cedono il posto ai mughi e a grossi blocchi di roccia, e iniziano finalmente a far la loro comparsa le cime che contornano la Vallaccia.
Il sentiero attraversa questo labirinto roccioso senza pensare nemmeno per un momento di diminuire la pendenza della salita.
Tutto il giro è molto lungo, e allora il passo deve necessariamente farsi umile in questo vallone, altrimenti si rischia di esaurire subito le energie e di rimanere a secco proprio sul più bello.
Ci si addossa alla verticale parete del Sasso delle Undici e si entra in uno stretto canale, seguito da un facile salto attrezzato. Qualche altra facile roccetta e si monta sul pianoro che ospita il bivacco Zeni.
L'ambiente è splendido e magicamente intoccato, eccetto per la presenza del bivacco. Presenza comunque abbastanza discreta.
La testata della valle è un luogo particolare e appartato, che ti fa sentire completamente fuori dal Mondo. Qui ci siamo solo noi e la Natura.
Poco sopra al bivacco iniziano le attrezzature della ferrata dedicata a Franco Gadotti.
Questa è abbastanza facile e discontinua, tant'è che alcuni la declassano a "sentiero attrezzato". Tuttavia ci sono diversi tratti esposti quanto basta, per cui il mio consiglio è di non sottovalutarla e affrontarla con l'attrezzatura al completo.
La prima sezione, che porta dal bivacco Zeni al Sasso delle Dodici, ha facili passaggi assicurati intervallati da lunghi tratti di sentiero. Un ripido canalino non attrezzato sbocca a un panoramico forcellino. Al di là di questo una corta discesa porta nell'anfiteatro di ghiaie fra il Sasso delle Dodici e il Sas Aut.
In questo ambiente splendido termina la prima parte della ferrata Gadotti.
Dal versante opposto dell'anfiteatro, si stacca la traccia per la prima cima del tris: il Sasso delle Dodici. Val la pena, prima di proseguire per il Sas Aut, di affrontare quelle poche decine di metri di salita che ci separano dalla punta del Sasso delle Dodici, perchè questa erbosa cima è molto panoramica e merita una visita.
Tornati sui propri passi, si incrocia una deviazione che riporta verso valle. E qui un esame di coscienza è d'obbligo, perchè non siamo nemmeno a metà dell'itinerario, per cui, in caso di qualunque problema, meglio prender subito la decisione di rientrare. Altrimenti in seguito non si avrà più la possibilità di farlo.
Dritto davanti a noi si vede la prosecuzione del viaggio, con la cima del Sas Aut lassù che aspetta. Vien da chiedersi come si possa salire in vetta senza troppe difficoltà, data la verticalità e la complessità della parete.
Ma la ferrata trova una sua strada molto logica, passando prima per un canalino e poi sfruttando una comoda cengia.
Si arriva alla fine delle attrezzature, su un inaspettato pianoro erboso, che neanche ci se ne accorge. Ma per "conquistare" anche la seconda cima del tris, è necessaria una breve divagazione fuori traccia, salendo per qualche decina di metri alla "vera" cima che il sentiero "ufficiale" in effetti trascura passando poco più in basso.
Anche la cima del Sas Aut, che in pochi raggiungono vista l'assenza di tracce, è assai panoramica.
Conviene fermarsi un poco qui, a fianco di una delle croci di vetta più essenziali di tutte le Dolomiti, per godere del panorama, riposare e recuperare le energie prima di affrontare la parte più "tecnica" (per così dire) del percorso attrezzato.