Scendiamo dalla cima, con immensa soddisfazione, una montagna storica, un classico. Arriviamo poco sopra il passo, siamo ormai fuori dalle cenge, dai canalini, dalle difficoltà e ci fermiamo per una sosta, un boccone e qualche riflessione. Più interiori, senza esternazioni. Ancora una volta lo sguardo spazia dalla grande parete discesa ai panorami verso sud e nord. Panorami delle Dolomiti che in nessuna altra parte del mondo si posssono godere.
Mi siedo su una roccia che sembra una poltrona al cinema. Apro il mio zaino, smetto imbrago ed attrezzatura e mi rilasso.
Il mio sguardo va pochi metri sotto... verso il passo che tanti anni fa era oltremodo ricoperto dal ghiaccio e dalla neve, alta e fredda. Poco sopra, sulla parete opposta, un baraccamento in pietra della grande guerra. Ben più alto del valico ed ancorato alla parete quasi verticale. Solo questa immagine mi fa capire come poteva essere l'ambiente un secolo fa, con il livello delle nevi ben oltre le rocce ed i sassi.
Fisso gli occhi ai ruderi in pietra abbarbicati sulla roccia e mi perdo nelle mie riflessioni...
Lui si avvicina, nella sua divisa pesante, con il fucile in spalla e con la sofferenza negli occhi. Si siede di fronte e vedo una luce particolare nel suo sguardo. Un cenno fugace, ma carico di umanità, mi invita alla condivisione...
Sono tanti giorni che sono qui. So ormai poco o nulla del mio paese, della famiglia, degli amici. Anch'io camminavo per i pendii e le montagne prima che mi ordinassero di salire qui. Non capisco... mi hanno detto che deve essere un onore sparare al nemico in nome della patria... Nemico... già! Ma quelli che hanno definiti nemici vivono oltre il passo, nelle altre valli... Io ne conosco alcuni. Con loro ho anche vissuto, ho pure bevuto assieme... Perché? Perchè ora sono nemici a cui devo sparare, che devo uccidere...?
Ieri ho perso due compagni. Uno è stato colpito mentre era di vedetta ed è caduto dalla parete. Non so se potrò mai ritrovare il suo corpo per una preghiera, per un saluto.
Un altro è morto accanto a me. Mi osservava con disperazione... ma non credo abbia percepito il mio dolore. Eravamo dello stesso paese, come fratelli e come fratelli abbiamo condiviso questo destino... I suoi occhi mi chiedevano molte cose ma non ero in grado di rispondere perchè le domande che mi sto ponendo da tanto tempo sono senza risposta... E' morto ossservandomi, come volesse unire il suo inesorabile spegnimento alla mia vita, un'ancora sfilacciata...
Ho un brivido, ed una scossa mi riporta per un solo istante alla realtà. Solo un attimo però. Sento la nuda roccia su cui sono seduto e mi chiedo quante volte lui possa essersi riposato sulla stessa. Con lo sguardo verso lo svivolo ghiacciato a nord, da vigilare... da osservare... verso cui eventualmente sparare.
Sono ormai secoli e secoli che ho messo radici in questo luogo. Prima di te sono passati altri, mai molti in verità, questo è un luogo di silenzio. Solo una volta il mio isolamento è stato rotto da rumori ben diversi dagli scarponi sulle ghiaie, dal respiro di chi ha visitato la mia casa...
Rumori improvvisi, asssordanti, che allontanavano i pochi animali che qui attorno hanno spesso transitato. Per quel tempo che fu, ho assistito a cose tristi ed incomprensibili. Anche allora qualcuno si sedeva su di me ed in silenzio riposava e percepivo i suoi pensieri che correvano ad altri posti, ad altre persone, ad altre situazioni. Percepivo il dolore ma anche la rassegnazione.
La mia lunga vita ha conosciuto la neve, il ghiaccio, la pioggia che ha lavato spesso la mia 'pelle'. Ma ho conosciuto anche quella rossa del sangue che non ho potuto far scorrere su di me. Che mi ha lasciato il segno tangibile di quei rumori secchi, assordanti, che l'eco delle pareti riflettevano ed espandevano...
Sono anch'io viva. Io sono nata dal mare e col tempo, inesorabilmente, le mie lacrime si staccano da me e scendono lungo il ripido pendio per ritornare al mare.
Mi sposto per un secondo sulla roccia su cui sono seduto e dalla quale continuo ad osservarmi attorno. Lui si appoggia al fucile e si alza, stancamente. Mi si avvicina ed appoggia una mano sulla mia spalla, Quindi la stessa mano ad accarezzare con affetto la roccia. Voglio pensare ad un gesto che possa trasmettere alla stessa un messaggio, qualcosa che il suo progressivo disfacimento possa portare a valle a qualcuno dei suoi cari, dei suoi amici, del suo paese.
Con un ultimo sguardo si volta e ritorna suoi suoi passi, oltre il valico, verso la baracca.
Mi ridesto. Non so quanto tempo sia passato, forse solo qualche minuto. Ricompongo le mie cose nello zaino e scendo con molta calma al vicino passo, mi riporto sopra la lingua di ghiaia che scende lungamente sul vallone. Prima di scendere Un ultimo sguardo verso la roccia che mi ha ospitato ed un altro verso la baracca. Lui mi osserva, alza una mano, debolmente ma con un sorriso tristemente velato dai suoi occhi, vivi e stanchi.
Rispondo con un sorriso e senza rendermene conto con un piccolo gesto della mano, impercettibile ma profondo.
Tornato in valle trovo nello zaino, tra le cose riposte, un piccolo sasso. Lo porterò con me per anni e solo un giorno lo farò riposare in mare, riportando all'origine quello che i monti mi hanno lasciato... per un istante... lungo cento anni.
1915-2015